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Prima sessione del "Sinodo sulla sinodalità": una rassegna teologica

Matthieu Rougé (Mgr)

In qualità di membro della XVIe assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata alla sinodalità, il Vescovo di Nanterre discute i dibattiti dell'assemblea dell'ottobre 2023 e mostra le sfide dogmatiche e pastorali della relazione emersa. Contro le tentazioni del "neo-marcionismo, del neo-giocachismo o del neo-bellarminismo", propone una dialettica dell'amore e della verità espressa nella dialettica missionaria del dialogo e dell'annuncio.

Introduzione: dalla rivoluzione all'approfondimento

Alcuni speravano o temevano una rivoluzione, una grande serata ecclesiologica e dottrinale: in realtà, sulla scia dell'ampia consultazione preparatoria, c'è stato un mese di sereno e serio approfondimento, un mese di ascolto di ciò che "lo Spirito dice alle Chiese" (Ap 2,7), nell'"obbedienza della fede" (Rm 1,5). "Non prendete a modello il mondo attuale, ma trasformatevi rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere qual è la volontà di Dio: ciò che è buono, ciò che gli può piacere, ciò che è perfetto", esorta l'Apostolo all'inizio della parenesi finale della Lettera ai Romani (Rm 12,2): è questo spirito di "metamorfosi" secondo la novità per sempre di Cristo, cioè anche uno spirito di metanoia, di conversione, che ha guidato i lavori sinodali. "Christof Theobald, esperto del sinodo, in uno stimolante libro pubblicato all'inizio della sessione romana1. I fatti sembravano rispondere che si trattava davvero, umilmente, di un "sinodo", la prima sessione della "XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi", come ricordavano costantemente i documenti ufficiali, nella continuità stabilita - all'indomani del Concilio Vaticano II - dal motu proprio Apostolica sollicitudo di Paolo VI del 1965, anche se con una composizione e modalità di lavoro ampiamente e intelligentemente rinnovate.

Questo sinodo avrebbe potuto essere visto come un confronto politico tra posizioni antagoniste. Già nella Messa di apertura, Papa Francesco ha lanciato un doppio monito, come aveva già fatto in diverse occasioni:

Siamo all'apertura dell'Assemblea sinodale. E non abbiamo bisogno di uno sguardo immanente, fatto di strategie umane, calcoli politici o battaglie ideologiche [...]. Non siamo qui per formare un parlamento, ma per camminare insieme sotto lo sguardo di Gesù.

E ancora, al termine della sua meditazione, strutturata dai temi della "benedizione" e dell'"accoglienza": "Ricordiamoci che questo non è un raduno politico, ma una convocazione nello Spirito; non un parlamento polarizzato, ma un luogo di grazia e di comunione". E il Successore di Pietro ha posto i lavori sinodali sotto il segno essenziale della preghiera e della "conversazione nello Spirito":

Lo Spirito Santo spesso infrange le nostre aspettative per creare qualcosa di nuovo che supera le nostre previsioni e la nostra negatività. Posso certamente dire che i momenti più fruttuosi del Sinodo sono stati quelli della preghiera, e il clima di preghiera attraverso il quale il Signore opera in noi.

Questo approccio teologico ai lavori del sinodo ha portato a un'esperienza pasquale: un passaggio faticoso e impegnativo da una riunione secondo il mondo a un'assemblea secondo Cristo e lo Spirito.

Nel contesto del Sinodo si è talvolta fatto riferimento al "Concilio di Gerusalemme" (cfr. At 15), giustamente considerato il sinodo di origine, ma questo è stato talvolta interpretato in senso puramente ideologico, nel senso oggettivo del termine, in modo politico e quindi riduttivo. Da una parte ci sarebbero stati i fautori del conservatorismo e dall'altra quelli dell'apertura, che alla fine avrebbero avuto la meglio e felicemente. Questa rilettura astratta dell'assemblea di Gerusalemme non ci permette di andare al cuore della questione, di accoglierne la vera grazia salvifica. La posta in gioco dopo l'"incidente di Antiochia" è soprattutto il modo in cui le promesse fatte a Israele si aprono a tutte le nazioni. Non cominciare a tenerne conto, a prescindere dai legittimi sviluppi successivi, significa soccombere a una sorta di marcionismo, a quella che il cardinale Jean-Marie Lustiger ha definito in Le choix de Dieu "la tentazione pagana del cristianesimo":

I pagani, anche quelli che sono diventati cristiani, sono costantemente tentati di rifiutare la particolarità della storia e dell'elezione. Sono tentati di fare di Gesù la proiezione dell'uomo ideale che ogni cultura e ogni civiltà porta in sé. Questo è il modo più spontaneo di ridurre Dio alla figura dell'uomo, in altre parole di adorare se stessi e di cadere nell'idolatria2.

La prima sessione della XVI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi non ha ceduto a questa "tentazione pagana del cristianesimo". È in Cristo, sul quale lo Spirito riposa in pienezza (cfr. Is 11,2), che si è fondato il lavoro di approfondimento del cristianesimo, sulla scia del Concilio Vaticano II. Questo fondamento cristologico e conciliare ha portato a intuizioni inaspettate e a vere e proprie sorprese ecclesiologiche. Restano questioni controverse, ma è stato stabilito il quadro fondante per la loro chiarificazione. Questo è ciò che la presente rassegna teologica dei lavori dell'Assemblea dell'ottobre 2023 vuole mettere in evidenza.

I. - Fondamenti cristologici e sacramentali

1. Cristo e lo Spirito

Un numero significativo di contributi preparatori - parrocchiali, diocesani, nazionali, continentali e persino universali - all'assemblea dell'ottobre 2023 aveva sorprendentemente mostrato una certa discrezione cristologica, talvolta fino al punto di non nominare Gesù Cristo e di non stupirsi di questo sorprendente silenzio spontaneo. È stato notato che mentre la parola "Chiesa" compare cinquecento volte nell'Instrumentum laboris, il nome "Gesù" compare solo cinque volte, come se fosse possibile un'autentica ecclesiologia etsi Christus non daretur. "Tutto poggia sulla fede nel nome di Gesù Cristo", come insegnano gli Atti degli Apostoli (At 3,16). Questa esaltazione unilaterale dello Spirito, distante dall'autentico discernimento degli spiriti promosso dagli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio, espressamente fondati sulla contemplazione dei misteri della vita, della morte e della risurrezione di Gesù, avrebbe potuto dare l'impressione di tornare alla tesi, già avversata da Origene, di un'economia dello Spirito parallela all'economia del Verbo incarnato. Pensavamo di assistere a un nuovo capitolo de La postérité spirituelle di Joachim de Flore3 , che auspicava un'epoca di libertà spirituale, che avrebbe finalmente rotto con l'ortodossia cristologica e soteriologica percepita e presentata come inevitabile rigidità dottrinale. Tuttavia, l'insegnamento di Evangelii gaudium, la prima esortazione apostolica di Papa Francesco, con la sua insistenza sulla centralità del kerigma, ha dato al suo pontificato un tono vigorosamente cristologico fin dall'inizio:

La gioia del Vangelo riempie il cuore e tutta la vita di chi incontra Gesù. Chi si lascia salvare da lui viene liberato dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore e dall'isolamento. Con Gesù Cristo la gioia nasce e rinasce sempre" (EG 1).

Le dinamiche del sinodo cambierebbero le dinamiche della "gioia del Vangelo"? In contrasto con un certo neo-joachimismo in voga, la relazione di sintesi dell'assemblea dell'ottobre 2023 mostra che il sinodo ha scelto un fondamento cristologico chiaramente rinnovato. È "in Cristo" che "siamo fratelli e sorelle", ricorda la prima delle "convergenze" elencate (1.a). La sinodalità, termine che la relazione riconosce essere ancora oscuro per molti fedeli, è definita come il cammino dei cristiani con Cristo e verso il Regno [...]. Implica [...] la ricerca del consenso come espressione della presenza di Cristo nello Spirito" (1.h). La sinodalità si inserisce quindi nella logica cristologica, soteriologica, pneumatologica ed escatologica della ricerca, del servizio e dell'annuncio del Regno che viene. Il rischio di una pneumatologia degradata perché non sufficientemente radicata in Cristo viene identificato come tale, come una "questione da affrontare":

Sembra necessario approfondire i criteri di discernimento ecclesiale da un punto di vista teologico, in modo che il riferimento alla libertà e alla novità dello Spirito sia adeguatamente coordinato con l'evento di Gesù Cristo avvenuto 'una volta per tutte' (Eb 10, 10)" (2.f).

L'opzione preferenziale per i poveri è presentata nella sua ricchezza puramente cristologica: "Gesù, povero e umile, ha fatto amicizia con i poveri, ha camminato con loro, ha condiviso la loro tavola e ha denunciato le cause della povertà. Per la Chiesa, l'opzione per i poveri e gli svantaggiati è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica" (4.b). Il mistero della Croce e del martirio è fortemente evocato nel capitolo dedicato all'ecumenismo: "In alcune regioni del mondo esiste soprattutto un ecumenismo di sangue: cristiani di diversa provenienza che insieme danno la vita per la fede in Gesù Cristo. La testimonianza del loro martirio parla più forte di qualsiasi parola: l'unità viene dalla Croce del Signore" (7.d). È anche a partire dal loro rapporto con Cristo che si considerano "le donne nella vita e nella missione della Chiesa" (9). Il celibato presbiterale è presentato come "una testimonianza di conformità a Cristo" (11.f). La relazione si conclude con la parabola del chicco di grano caduto in terra e che porta molto frutto, "un dinamismo chiamato a dare vita, a diventare pane per molti" (Concl.) e con un riferimento all'Annunciazione. È da Cristo contemplato, accolto e celebrato che la Chiesa è chiamata nello Spirito a cercare nuovi percorsi di "comunione, partecipazione e missione" per l'oggi e il domani.

2. Sulla scia del Concilio Vaticano II

In modo analogo, può sembrare che un certo discorso ecclesiologico recente, per quanto sorprendente, cerchi di rompere con l'insegnamento della Lumen gentium, troppo carico per i suoi gusti di sacramentalità e apostolicità per consentire gli adattamenti auspicabili per il nostro tempo. Nel presentare alla stampa la Costituzione apostolica Praedicate evangelium il 21 marzo 2022, il cardinale Gianfranco Ghirlanda, noto canonista gesuita, ha sottolineato il nuovo posto che, a suo avviso, avrebbe dato al potere della giurisdizione rispetto al potere dell'ordine:

Nel Praedicate evangelium, art. 15, si legge: "I membri dell'Assemblea sono scelti tra i Cardinali residenti a Roma o fuori Roma; si aggiungono alcuni Vescovi, specialmente diocesani, e anche, secondo la natura del dicastero, alcuni chierici e altri fedeli, a motivo della loro particolare competenza nelle materie in questione" e non si aggiunge quanto affermato nel corrispondente numero 7 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus: "fermo restando che ciò che richiede la potestà di governo deve essere riservato a coloro che hanno ricevuto il sacramento dell'Ordine". Secondo il Praedicate evangelium, art. 15, anche i laici possono occuparsi di queste materie, esercitando la potestà ordinaria vicaria di governo ricevuta dal Romano Pontefice contestualmente all'ufficio. Ciò conferma che la potestà di governo nella Chiesa non deriva dal sacramento dell'Ordine, ma dalla missione canonica.

Qualche settimana dopo, il cardinale Marc Ouellet, allora prefetto della Congregazione per i Vescovi, interrogò liberamente il fratello nel Sacro Collegio sull'Osservatore Romano:

Alcuni giuristi sottolineano che questa posizione rappresenta una rivoluzione copernicana nel governo della Chiesa, che non sarebbe in continuità, o addirittura in contrasto, con lo sviluppo ecclesiologico del Concilio Vaticano II4.

In ogni caso, sarebbe stato più appropriato affermare che il potere di governo nella Chiesa non deriva "esclusivamente" dal sacramento dell'Ordine, ma "anche" dalla missione canonica. Esiste infatti una dialettica tra il dono sacramentale e la missione particolare ricevuta. Questo vale non solo per i ministri ordinati, ma anche per i fedeli laici in posizioni di responsabilità, la cui capacità ecclesiale si basa soprattutto sul battesimo e sulla cresima che hanno ricevuto. L'idea che una sorta di positivismo canonico possa semplificare gli sviluppi ecclesiali significherebbe cancellare il lavoro quasi ventennale svolto a ridosso del Concilio Vaticano II per elaborare il Codice del 1983, che non è solo una costruzione giuridica ma il frutto, modificabile in profondità solo con grande attenzione, di quel grande atto di discernimento ecclesiale ricevuto dal Signore che è il Concilio. Con il pretesto della modernizzazione, si tornerebbe a un'ecclesiologia canonica preconciliare, o addirittura a una sorta di guerrafondaio. In questo contesto, assume particolare importanza il rapporto dell'assemblea sinodale del 2023 con l'insegnamento della Lumen gentium, con la Chiesa come mistero e con la sacramentalità dell'episcopato in particolare.

"L'intero processo [del Sinodo], annuncia l'introduzione alla Relazione di sintesi, radicato nella Tradizione della Chiesa, si svolge alla luce del magistero conciliare" (intr.). La Lumen gentium è citata più volte come riferimento essenziale e perenne: nel capitolo 2, che fonda la comunione e la missione nella Santa Trinità (2.a); nel capitolo 8, per situare la missione "che è" la Chiesa nella prospettiva del Regno (8.a); nel capitolo 11, per situare la missione dei sacerdoti e dei diaconi, prima di ringraziarli e incoraggiarli (11.a). La struttura stessa della relazione di sintesi, con i capitoli sulla missione (8) e sulla "donna nella vita e nella missione della Chiesa" (9) posti prima dei capitoli sui diaconi e sui sacerdoti (11), sui vescovi (12) e sul vescovo di Roma (13), con anche la sezione sulla vita consacrata che ricorda il capitolo 6 della Lumen gentium, segue una logica simile. I capitoli sulle "tradizioni delle Chiese orientali e della Chiesa latina", da un lato, e "sul cammino verso l'unità dei cristiani", dall'altro, sembrano una ripresa e un aggiornamento dei decreti conciliari Orientalium ecclesiarum e Unitatis redintegratio. Il capitolo 12 su "Il vescovo nella comunione ecclesiale" si apre con una certa solennità che richiama la forza evangelica ed ecclesiologica del capitolo IIi della Lumen gentium:

Nella prospettiva del Concilio Vaticano II, i vescovi, in quanto successori degli Apostoli, sono al servizio della comunione all'interno della Chiesa locale, tra le Chiese e con la Chiesa nel suo insieme. È quindi giusto collocare la figura del vescovo all'incrocio delle relazioni tra la porzione di popolo di Dio a lui affidata, il presbiterio e i diaconi, le persone consacrate, gli altri vescovi e il Vescovo di Roma, sempre nella prospettiva della missione (12.a).

Così la sacramentalità e l'apostolicità della Chiesa non sono intese come un peso che le impedirebbe di dare un posto migliore a tutti i fedeli, donne in particolare, ma al contrario come il dono che ci permette di ricevere sempre più ampiamente da Cristo stesso il sacerdozio comune offerto a tutti i battezzati per la gloria di Dio e la salvezza del mondo. Non tutte le responsabilità sono riservate ai ministri ordinati, tutt'altro, e la relazione di sintesi auspica che tutte le missioni potenzialmente battesimali siano riconosciute come tali e aperte a uomini e donne. Ad esempio, nell'ambito della giustizia canonica: "Proponiamo che le donne adeguatamente formate possano servire come giudici in tutti i processi canonici" (9.r). Si dichiara inoltre importante non banalizzare il ministero apostolico ordinando vescovi per motivi di onore o di amministrazione: "Alla luce dell'insegnamento del Concilio Vaticano II, è opportuno esaminare attentamente l'opportunità di ordinare vescovi i prelati della Curia romana" (13.k). Tuttavia, al suo posto, cioè al servizio del dispiegamento missionario dei carismi di tutti i battezzati, il ministero propriamente apostolico viene riaffermato come decisivo perché la Chiesa sia veramente la Chiesa di Gesù Cristo.

II. - Sorprese ecclesiologiche

1. Primato, collegialità, sinodalità e unità

Diversi temi della discussione sinodale, ampiamente annunciati e attesi, sono stati infatti trattati con cura: l'effettivo riconoscimento delle persone che vivono in povertà come soggetti a pieno titolo nella vita della Chiesa (capitolo 4), la più ampia partecipazione delle donne a tutte le responsabilità ecclesiali (capitolo 9), l'accoglienza più adeguata di tutti, qualunque sia la loro situazione di vita (capitoli 15 e 16), i nuovi terreni missionari (capitolo 17). Ma altri temi sono emersi con forza inaspettata come condizioni fondamentali di possibilità per la sinodalità in tutti questi ambiti. È il caso del rapporto tra primato, collegialità e sinodalità. Come si può progredire in termini di partecipazione locale di tutti i battezzati alla missione della Chiesa se il rapporto tra il Vescovo di Roma e i suoi servizi con le Chiese particolari nel loro insieme non ne stabilisce in qualche modo il tono?

La relazione di sintesi afferma che si chiede di considerare come una rinnovata comprensione dell'episcopato all'interno di una Chiesa sinodale influisca sul ministero del Vescovo di Roma e sul ruolo della Curia romana. Questa domanda ha implicazioni significative per il modo in cui viene vissuta la corresponsabilità nel governo della Chiesa (13.d).

Sarebbe senza dubbio importante definire meglio la Curia romana, non solo come estensione operativa della responsabilità propria del Papa, ma anche come luogo in cui la collegialità episcopale e la sinodalità battesimale sono realmente esercitate accanto a lui. Da questo punto di vista, è deplorevole che la costituzione Praedicate evangelium abbia ripreso l'antico termine giuridico, incomprensibile ai più, di "dicastero" per designare gli organismi della Curia romana, a scapito di "congregazione" e "consiglio", che hanno una connotazione chiaramente più comunitaria, più sinodale. "Sinodalità, collegialità e primato sono reciprocamente dipendenti: il primato presuppone l'esercizio della sinodalità e della collegialità, così come entrambe implicano l'esercizio del primato" (13.a). La relazione di sintesi cita una serie di aspetti concreti del miglioramento del coordinamento che sarebbe auspicabile: una consultazione più appropriata degli episcopati locali da parte dei dicasteri romani (13.h), un lavoro più regolare del Collegio cardinalizio (13.e), la revisione della procedura per le visite ad limina (13.g). Per dare effetto pratico a questo riequilibrio, il Sinodo ha proposto che un primo discernimento etico e pastorale su un tema che lo riguarda più direttamente sia svolto dall'episcopato africano:

Incoraggiamo il SECAM (Simposio delle Conferenze Episcopali dell'Africa e del Madagascar) a promuovere il discernimento teologico e pastorale sulla questione della poligamia e sull'accompagnamento delle persone in unione poligama che si avvicinano alla fede (16.q).

La posta in gioco oggi in un'articolazione arricchita del primato e della collegialità è sottile e importante. La famosa Nota explicativa praevia allegata alla Lumen gentium, pur mettendo giustamente in guardia da una comprensione autonomista della collegialità, ha forse limitato il pieno significato della Costituzione stessa, la cui ricezione il Sinodo sta approfondendo. Nella classica espressione "primus inter pares", dobbiamo, senza temere il paradosso - figura che è l'opposto della verità autenticamente cristiana secondo P. de Lubac - sottolineare sia il primato che la parità: questo vale per il primato pontificio in relazione alla parità episcopale, così come vale anche, mutatis mutandis, per la responsabilità ministeriale in relazione alla parità battesimale.

Se non è possibile riflettere a fondo su comunione, partecipazione e missione senza interrogarsi sul modo in cui viene esercitato il ministero ultimo della comunione affidato al successore di Pietro, è sembrato anche essenziale collocare questo lavoro nella prospettiva della piena unità di tutti i battezzati. Questa dimensione ecumenica della ricerca sulla sinodalità è emersa nell'assemblea sinodale, forse più forte del previsto, sulla scia del Concilio Vaticano II e grazie alla presenza e alla partecipazione attiva di "delegati fraterni" benevoli e vigorosi. Gli atti di un importante colloquio sulla sinodalità nelle tradizioni ortodosse, tenutosi a Roma nel novembre 2022, sono stati pubblicati e presentati all'Augustinianum all'inizio della sessione di ottobre 20235. Il capitolo 7 della relazione di sintesi, "In cammino verso l'unità dei cristiani", inizia con una dichiarazione forte:

Questa sessione dell'Assemblea sinodale si è aperta all'insegna dell'ecumenismo. La veglia di preghiera Insieme ha visto la presenza di molti altri leader e rappresentanti di diverse comunioni cristiane accanto a Papa Francesco: un segno chiaro e credibile della volontà di camminare insieme in uno spirito di unità di fede e di scambio di doni. Questo evento molto significativo ci ha anche permesso di riconoscere che ci troviamo in un kairos ecumenico (7.a).

Come non perdere questo "kairos"? La relazione di sintesi cita le parole iniziali di Giovanni Paolo II in Ut unum sint del 1995. Riferendosi al ministero petrino del primato, il Papa polacco scrisse:

Per ragioni molto diverse, e contro la volontà di alcuni e di altri, quello che doveva essere un servizio si è manifestato in una luce piuttosto diversa. Ma è per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che mi riconosco chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare questo ministero. Chiedo allo Spirito Santo di darci la sua luce e di illuminare tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, ovviamente insieme, le forme in cui questo ministero possa realizzare un servizio d'amore riconosciuto da tutti (Ut unum sint 95).

E la relazione di sintesi commenta: "Le risposte all'invito di San Giovanni Paolo II nell'enciclica Ut unum sint [...] possono far luce sulla comprensione cattolica del primato, della collegialità, della sinodalità e dei loro legami reciproci" (13.b). Tuttavia, le numerose risposte ricevute dalla Santa Sede su questo tema devono essere elaborate insieme per compiere un reale progresso, sia nel contesto cattolico che in una prospettiva ecumenica.

Tra le altre proposte per l'unità avanzate dai membri del Sinodo, possiamo citare l'invito a onorare in modo approfondito ed ecumenico l'anniversario del Concilio di Nicea nel 2025 (7.k), così come l'auspicato lavoro per giungere a partire dal 2025 a una data di Pasqua comune a tutti i battezzati (7.l): le soluzioni "tecniche" sono a portata di mano, manca solo la volontà e la determinazione di tutti. L'esperienza dell'unità con Roma e della relativa autonomia delle Chiese cattoliche orientali delinea già un modello di rapporto con il primato che potrebbe essere previsto, almeno in via esplorativa, per alcune Chiese ortodosse, e alimenta anche la riflessione di tutti sulla sinodalità: "la loro esperienza di unità nella diversità può dare un contributo prezioso alla comprensione e alla pratica della sinodalità" (6.a). In ogni caso, la Chiesa non farà un vero progresso sulla via della sinodalità se non si impegna il più risolutamente possibile sulla via della vera unità nella fede e nella carità.

2. Diaconato e diaconia

Tra i membri sinodali non vescovi nominati dal Papa c'era solo un diacono permanente. Questa discrezione diaconale ha reso la questione del diaconato, paradossalmente e come se fosse nel vuoto, un vero e proprio argomento sinodale. "Nel contesto di una rivalutazione del ministero diaconale, è opportuno promuovere un orientamento più marcato verso il servizio dei poveri", si legge nel capitolo 4 (4.p). La prospettiva universale del sinodo ci ha permesso di misurare la varietà delle esperienze diaconali nel mondo:

Nelle Chiese latine, il diaconato permanente è stato attuato in modo diverso a seconda dei vari contesti ecclesiali. Alcune Chiese locali non lo hanno introdotto affatto; in altre, c'è il timore che i diaconi siano visti come una sorta di rimedio alla mancanza di sacerdoti. A volte il loro ministero si esprime nella liturgia piuttosto che nel servizio ai poveri e ai bisognosi della comunità. Raccomandiamo quindi una valutazione dello sviluppo del ministero diaconale dopo il Concilio Vaticano II (11.g).

Il modo in cui parliamo del diaconato è talvolta un po' vago, persino approssimativo:

Da un punto di vista teologico, sembra necessario comprendere il diaconato per se stesso, e non solo come una tappa nell'accesso al presbiterato. L'uso stesso di descrivere la prima forma di diaconato come "permanente", distinta dalla forma "transitoria", riflette un cambiamento di prospettiva che non è stato ancora adeguatamente compreso (11.h).

È legittimo parlare di diaconato "transitorio" rispetto a quello dei sacerdoti e dei vescovi? I diaconi permanenti devono ricordare costantemente che restano diaconi, che sono sacerdoti e pastori solo perché sono stati ordinati per primi e restano servitori. Questa goffaggine espressiva della relazione di sintesi ha almeno il merito di dimostrare che è stata redatta e messa a punto con una certa fretta, ben lontana dallo spettro di una relazione finale scritta prima ancora dell'inizio dei dibattiti, avanzato da alcuni commentatori sospettosi. Detto questo, si è ripetuto troppo spesso il luogo comune di una teologia del diaconato incoerente o appena abbozzata. Su questo punto, come su altri, una certa amnesia sui documenti ecclesiali già pubblicati e sul lavoro teologico effettivamente svolto può aver ostacolato il discernimento dell'assemblea. Sul tema del diaconato, si può citare l'ampio lavoro della Commissione Teologica Internazionale pubblicato nel 2003: "Il Diaconato: evoluzione e prospettive", ma anche, in ambito francofono, l'opera ormai classica di Michel Cancouët e Bernard Violle e vari studi come quello di Philippe Vallin, su "la posizione del servo", in una sezione di Communio interamente dedicata al diaconato, del diacono Alain Desjonquères sul diaconato nella pratica e nel pensiero del cardinale Lustiger o di Étienne Grieu sul diaconato come "ministero del (ri)inizio della predicazione evangelica "6.

Perché insistere in questo modo sulla dimensione diaconale del discernimento sinodale? Perché uno dei leitmotiv del Sinodo è stata proprio la chiamata al servizio rivolta a tutti i fedeli, e ai chierici in particolare, come condizione per l'esercizio autenticamente cristiano di ogni ufficio nella Chiesa. "L'espressione "una Chiesa interamente ministeriale", usata nell'Instrumentum laboris, può dare adito a fraintendimenti, sottolinea la relazione. Sarà necessario chiarirne il significato per eliminare ogni ambiguità" (8.m). Questa espressione, per quanto criticabile, cerca almeno di evidenziare l'identità fondamentale della Chiesa dei Servi come corpo di Cristo Servo. Il diaconato è come la fonte sacramentale del servizio a cui la Chiesa "veluti sacramentum" (Lumen gentium 1) non può non attingere. La relazione cita la Lumen gentium 29, l'atto di rifondazione del diaconato come grado stabile del sacramento dell'Ordine:

Al livello più basso della gerarchia si trovano i diaconi, ai quali sono state imposte le mani "non per il sacerdozio, ma per il ministero". La grazia sacramentale, infatti, dà loro la forza necessaria per servire il popolo di Dio nella "diaconia" della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il vescovo e il suo presbiterio. [Dedicati agli uffici della carità e dell'amministrazione, i diaconi devono ricordare l'ammonimento di San Policarpo: "Siate misericordiosi, zelanti, camminate secondo la verità del Signore che si è fatto servo di tutti".

Ciò che manca oggi alla Chiesa non è tanto una dottrina e una teologia del diaconato, quanto una sufficiente consapevolezza della radice sacramentale dello spirito di servizio, che si incarna nel diaconato di alcuni a beneficio dell'impegno autenticamente battesimale di tutti. Questa rinnovata consapevolezza sacramentale è la condizione di possibilità per chiarire la questione del diaconato femminile, che la relazione non nasconde per le divergenze che suscita (9.j), divergenze che nascono non tanto dalla questione del diaconato femminile quanto dalla questione del diaconato affrontato in modo più funzionale che sacramentale. Su questo tema come su altri, il sinodo del 2023 costituisce un approfondimento della ricezione dell'evento spirituale che il Concilio Vaticano II costituisce in modo duraturo. Con il diaconato permanente, il Concilio non ha immaginato, come a volte si è detto, un surrogato dei sacerdoti-operai o una forma rafforzata di apostolato laico, ma ha riscoperto nel tesoro della Rivelazione la fonte propriamente sacramentale del servizio, particolarmente preziosa per l'oggi e per il domani, da accogliere nell'obbedienza della fede.

III. - Questioni controverse

1. Responsabilità battesimale e ministeri istituiti

Questa rinascita sacramentale promossa dal Concilio Vaticano II getta luce anche sulla controversa questione dei ministeri laicali. Prima di qualsiasi riflessione sui ministeri laicali nella loro varietà e diffusione, non è forse necessario consolidare l'appartenenza al laos, il popolo di Dio, grazie alla trinità dei sacramenti dell'iniziazione? È quanto fa l'inizio del capitolo 3, con la sua suggestiva e stimolante enfasi sulla cresima:

La Cresima rende permanente nella Chiesa la grazia della Pentecoste. Arricchisce i fedeli con i doni abbondanti dello Spirito e li chiama a sviluppare la loro vocazione specifica, radicata nella comune dignità battesimale, al servizio della missione. La sua importanza deve essere sottolineata e messa in relazione con la varietà di carismi e ministeri che caratterizzano il volto sinodale della Chiesa (3.d).

È sorprendente che il discorso pneumatologico, abbondante fino a essere talvolta unilaterale, che ha circondato la preparazione del sinodo abbia generalmente dato poco spazio al sacramento per eccellenza dello Spirito. Forse un rinnovamento della cresima, su cui le tradizioni orientali hanno molto da dire alla tradizione latina, è una delle leve per approfondire il sinodo. "Prima di ogni distinzione di carismi e ministeri, "è in un solo Spirito che [...] siamo stati battezzati in un solo corpo" (1 Cor 12,13), ricorda la relazione di sintesi. Esiste quindi tra tutti i battezzati una vera uguaglianza di dignità e una comune responsabilità per la missione, secondo la vocazione di ciascuno" (3.c). Lo sviluppo di nuovi ministeri laicali deve avvenire all'interno di questa uguaglianza sacramentale, per non creare una sorta di classe ministeriale tagliata fuori dal corpo dei battezzati-confermati. "C'è il pericolo, espresso da molti in Assemblea, di "clericalizzare" i laici, creando così una sorta di élite laicale che perpetua le disuguaglianze e le divisioni all'interno del Popolo di Dio" (8.f).

Una volta stabilito questo quadro di radicamento sacramentale e di uguaglianza, si può e si deve affrontare la questione dei ministeri propriamente laici. E non dobbiamo rimanere con i surrogati degli ordini minori istituiti da San Paolo VI nel motu proprio Ministeria quaedam del 1972. La mancanza di successo e di comprensione del lettorato e dell'accolitato per più di cinquant'anni, al di fuori del percorso dei seminaristi e dei futuri diaconi in cammino verso l'ordinazione, sembra mostrare che la proposta, anche se estesa a tutti i battezzati come ha fatto il motu proprio Spiritus Domini di Papa Francesco nel 2021, è poco appropriata. Un sinodo è anche, sulla scia di un concilio, un momento di discernimento e di autenticazione o meno di pratiche già delineate o attuate con vari gradi di successo. Ecco perché, al contrario, è stimolante leggere :

Vediamo la necessità di una maggiore creatività nell'impostare i ministeri in base alle esigenze delle chiese locali, con un particolare coinvolgimento dei giovani. Si potrebbero ampliare i compiti del ministero del lettore, che già non si limita al suo ruolo durante la liturgia. Si potrebbe così istituire un vero e proprio ministero della Parola di Dio che, in contesti adeguati, potrebbe includere anche la predicazione. Sarebbe opportuno esplorare la possibilità di istituire un ministero affidato alle coppie di sposi che si occupano di sostenere la vita familiare e di accompagnare coloro che si preparano al matrimonio (8.n).

Un elemento di "creatività" nella "realizzazione" di ministeri autenticamente laici, che la relazione di sintesi non riprende ancora, sarebbe la possibilità di istituire i fedeli per un periodo di tempo determinato. I vescovi delle regioni di Parigi, Lione e Alvernia, nella loro visita ad limina del settembre 2021, hanno sentito sia il cardinale Ladaria - allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede - sia Papa Francesco affermare chiaramente e addirittura annunciare questa possibilità, per quanto riguarda il Sommo Pontefice. In un certo senso, è quello che sta accadendo in molte diocesi francesi con l'invio di "laici in missione ecclesiale" in missioni triennali rinnovabili. La dimensione stabile e limitata dei ministeri istituiti non li renderebbe allo stesso tempo più laici e non permetterebbe di esercitare successivamente i vari carismi degli stessi fedeli in direzioni diverse?

2. Riunioni e consigli

Un'altra realtà innovativa messa in discussione dall'Assemblea sinodale dell'ottobre 2023 è stata la sua stessa natura di "sinodo dei vescovi" composto anche da non vescovi che sono anche elettori. Questo tema controverso è stato affrontato a pieno titolo nel capitolo finale della relazione di sintesi: "Sinodo dei Vescovi e Assemblea Ecclesiale" (cap. 20). "La presenza di altri membri, oltre ai vescovi, come testimoni del cammino sinodale è stata apprezzata. Tuttavia, rimane aperta la questione delle conseguenze della loro presenza come membri a pieno titolo sul carattere episcopale dell'Assemblea. Alcuni vedono il rischio che il compito specifico dei vescovi non venga adeguatamente compreso. Anche i criteri per chiamare all'Assemblea i membri non vescovi devono essere chiariti" (20.d). I vescovi francesi si erano già posti questa domanda dopo diverse assemblee, alcune delle quali sinodali, dedicate all'ecologia integrale. Alcuni vescovi avevano apprezzato questa opportunità di arricchimento; altri si erano rammaricati per il tempo sottratto all'essenziale condivisione e discernimento propriamente episcopale. Sappiamo anche che il Dicastero per i Vescovi preferisce riservare il termine "assemblea" a un incontro esclusivamente episcopale, poiché una sessione più ampia dovrebbe chiamarsi in un altro modo per evitare qualsiasi ambiguità. Senza concludere prematuramente una questione ancora aperta, la relazione di sintesi mostra che non si tratta tanto di una questione di opposizione quanto di un'articolazione appropriata da chiarire, e suggerisce:

Resta da vedere come sinodalità e collegialità potranno articolarsi in futuro, distinguendo (senza indebite separazioni) il contributo di tutti i membri del Popolo di Dio all'elaborazione delle decisioni e la missione specifica dei vescovi (20.g).

Le questioni che sorgono a livello di governo della Chiesa universale devono essere prese sul serio anche a livello delle Chiese particolari. Su questo punto, la relazione di sintesi chiede una decisione ingiuntiva da parte del Sommo Pontefice: "Chiediamo che il Consiglio episcopale (CIC c. 473 §4) e il Consiglio pastorale diocesano o eparchiale (CIC c. 511, CCEU c. 272) siano resi obbligatori e che gli organismi diocesani di corresponsabilità siano resi più efficaci, anche a livello di diritto" (12.k). Forse sarebbe utile, da qui alla sessione dell'ottobre 2024, valutare la proposta di questo "consiglio pastorale diocesano" presente nel Codice del 1983. Molte diocesi hanno tentato di attuarlo e poi hanno rinunciato, non per mancanza di desiderio di corresponsabilità, ma per mancanza di efficacia e di fecondità: a volte le dimensioni della diocesi richiedevano un'assemblea le cui dimensioni erano meccanicamente tali da appesantire troppo il lavoro; in altre circostanze, la riflessione su un determinato tema pastorale sembrava essere meglio onorata dai fedeli che non appartenevano a un consiglio stabile, ma venivano consultati per la loro particolare esperienza. I "consigli episcopali", invece, quando sono composti da sacerdoti, diaconi, consacrati e laici, sono spesso soddisfacenti per accompagnare il governo ordinario di una diocesi, così come le "équipe di animazione pastorale" a livello parrocchiale, più flessibili ed efficaci dei "consigli pastorali parrocchiali". Ma tutti devono ancora concordare sul tipo di coinvolgimento richiesto. La questione del processo decisionale ecclesiale viene spesso affrontata in modo politico: "Chi decide? I sacerdoti o i laici? In realtà, è necessaria una conversione teologica: i fedeli che desiderano contribuire alla missione della Chiesa, nella varietà dei loro carismi e stati di vita, devono sempre cercare di prendere insieme le decisioni secondo Cristo, rinunciando ciascuno alla propria volontà per discernere secondo lo Spirito. Il munus regendi, la grazia e la missione di governo, legata all'ordinazione non è il potere di decidere tutto, soprattutto nella sfera temporale, ma il compito esaltante di portare avanti decisioni e determinazioni secondo Cristo, feconde per la comunione e la missione. Un bel paradosso da scoprire, per i sacerdoti come per i fedeli laici, è che la corresponsabilità regolata non priva nessuno della propria grazia, ma permette a ciascuno di esercitarla con maggiore profondità e gioia.

Conclusione: andare avanti nell'amore e nella verità

Tutta la Chiesa è quindi invitata a proseguire il cammino avviato dalla sessione sinodale di ottobre 2023 e dal processo che l'ha preceduta. Conosciamo tutti le parole di Camus: "Dare un nome sbagliato alle cose significa aumentare l'infelicità di questo mondo". Al contrario, nominarle bene significa fare un'opera di bontà e di bellezza. Questo vale per le realtà del mondo, ma ancora di più per le cose della fede. Papa Francesco non ha indetto un "concilio" ma un "sinodo", chiamato ad approfondire ulteriormente il singolare dono spirituale - cristologico, sacramentale, missionario - costituito dall'evento del Vaticano II. Dire questo non significa professare il conservatorismo ma, al contrario, attingere da Cristo e dallo Spirito, dalla grazia sacramentale, la forza per una comunione e uno slancio missionario autenticamente creativi. Proprio all'inizio dell'Evangelii gaudium, essa cita le famose parole di Sant'Ireneo, così spesso riprese da P. de Lubac: "Nella sua venuta, [Cristo] ha portato con sé ogni novità" (EG 11). Senza cedere a nessun neo-marcionismo, neo-gioachimismo o neo-bellarismo, i fedeli sono chiamati ad attingere dalla grazia del battesimo, del crisma e dell'eucaristia una rinnovata capacità missionaria, liberata forse da certi formalismi, più fraterna, più evangelica, più diaconale anche.

La sinodalità non è una quinta "nota" della Chiesa, ma un modo di essere e di agire adeguato ai nostri tempi, i cui contorni concreti devono ancora essere chiariti, per vivere e manifestare la sua unità, santità, cattolicità e apostolicità. Il Sinodo ha evidenziato la feconda dialettica di amore e verità (cfr. Sal 84,11), che deve essere utilizzata per rivolgersi a ogni persona secondo Cristo, qualunque sia la sua situazione umana e spirituale. Questa dialettica deve anche essere sviluppata ad intra per perseverare tra i fedeli in una continua "conversazione nello Spirito", al di là della sua discorsività formale, che permette di superare le divisioni ideologiche e di assumere approcci che possono essere diversi in profondità: "La riflessione deve continuare, in particolare sul rapporto tra amore e verità, con le sue conseguenze per molte questioni controverse. Questo rapporto, prima di essere una sfida, è in realtà una grazia che abita la rivelazione cristologica" (15.d).

La dialettica di amore e verità si esprime in particolare nella dialettica missionaria del dialogo e dell'annuncio, che sicuramente deve essere ancora chiarita. Questo è forse il punto essenziale che deve essere meglio chiarito se vogliamo portare a termine questo processo sinodale: qual è la missione a cui siamo effettivamente chiamati oggi? Una presenza umile e discreta nel mondo, diranno alcuni; l'annuncio audace ed entusiasta di Gesù Cristo, affermeranno altri. Senza dubbio il Signore ci chiama a combinare questi due atteggiamenti7 : in un modo o nell'altro, si tratta di comprendere meglio e vivere meglio l'affermazione giovannea:

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Dio infatti ha mandato il suo Figlio nel mondo non per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3,16-17).

Notes de bas de page

  • 1 C. Theobald, Un nouveau concile qui ne dit pas son nom? Le synode sur la synodalité, voie de pacification et de créativité, Paris, Salvator, 2023.

  • 2 J.-M. Lustiger, Le choix de Dieu, Paris, de Fallois-Le livre d.e poche, 1989, p. 90.

  • 3 H. de Lubac, La postérité spirituelle de Joachim de Flore, coll. Œuvres complètes, Paris, Cerf, 2014.

  • 4 M. Ouellet, "La réforme de la curie romaine dans le contexte des fondements du droit dans l'Église", Osservatore Romano, 20 luglio 2022.

  • 5 Ascoltare l'Oriente. La sinodalità nelle tradizioni della Chiesa ortodossa orientale e orientale (Ut unum sint 4), Roma, Libreria Editrice Vaticana, 2023.

  • 6 M. Cancouët, B. Violle, Les diacres, Paris, Desclée, 1990; P. Vallin, "La position de serviteur", Communio 154 (marzo-aprile 2001), p. 15-28; A. Desjonquères, Jean-Marie Lustiger et le diaconat permanent, coll. Essais du Collège des Bernardins, Sion, Parole et Silence, 2018; É. Grieu, "Les diacres : rappel au commencement de l'évangile", NRT 145 (2023), p. 66-82.

  • 7 Su questo punto si veda J.-M. Aveline, Dieu a tant aimé le monde. Petite théologie de la mission, Paris, Cerf, 2023.

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