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Accompagnare i processi pastorali per rinnovare i ministeri. Riflessioni a partire dalla situazione nel Nord Italia

Giovanni Giuffrida

Questo articolo è tratto da una conferenza che l’autore ha tenuto nel novembre del 2022 in occasione del congresso « Vocazioni e ministeri in una chiesa sinodale » nella diocesi di Treviso. L’approccio della teologia pastorale permette di mettere in evidenza alcuni processi culturali ed ecclesiali che sono attuali nel contesto dell’Italia settentrionale. Una lettura di questi processi conduce, facendo riferimento anche al recente magistero di Papa Francesco, a proporre un rinnovamento dei ministeri in numerosi settori, come quelli: della Parola, dell’accompagnamento e animazione, dell’ospitalità, della formazione ed educazione.

1.     “Verso l’implosione?” (cf. D. Hervieu-Léger)

    Anche senza scomodare le scienze sociali, penso che tutti constatiamo, e non da oggi, un sempre maggiore indebolimento delle nostre comunità cristiane nel cambiamento di un’epoca che qualcuno chiama post-secolare (cf. J. Habermas; P. Costa). Indebolimento della pratica della fede, dei legami, delle possibilità economiche, e quindi della capacità testimoniale e di annuncio (anche per gli scandali interni alla Chiesa). La rarefazione-contrazione e la stanchezza dei preti, consacrati/e e dei battezzati, lo spostamento verso la vecchiaia dei praticanti e non (complice la denatalità), il possibile rischio di riduzione delle parrocchie da luoghi di vita a sportelli che erogano servizi, seppure con qualche eccezione, sembrano elementi di un processo inesorabile in atto da anni e che la Pandemia ha solo evidenziato e forse accelerato. Se è vero che qui in Italia, e nel nostro territorio in particolare, la crisi è più tardiva rispetto alle chiese del Nord Europa questo non vuol dire che essa non ci stia raggiungendo. Rispetto ad altre nazioni possiamo dire di essere ancora in una «precarietà relativa» (non ancora «precarietà assoluta») rispetto alla presenza del clero (cf. A. Borras) e magari proprio per questo abbiamo qualche possibilità in più per cercare modi di abitare il processo italiano di “esculturazione” (cf. D. Hervieu-Léger; C. Theobald) del cristianesimo ovvero l’uscita della religione dalla cultura, dal tessuto sociale dell’Occidente. In Italia, L. Diotallevi parla della crisi del cristianesimo come religione confessionale con la conseguenza di essere ormai «religione a bassa intensità» ovvero una  religione che occupa il suo spazio come “devozione” personale e privata senza interferire con il resto della vita pubblica, un cristianesimo che soddisfa un certo bisogno religioso, ma non disturba la vita.

    I “servizi pastorali” e i “ministeri” (istituiti) esistenti, essendo “attaccati” a persone in carne ed ossa ed essendo strettamente legati a comunità in difficoltà, attraversano anch’essi l’inevitabile crisi rispetto all’entusiastica proliferazione di essi nel post-Concilio. Il parroco e le parrocchie, ad esempio, si trovano in una sempre maggiore difficoltà, aggravata dalla Pandemia, a reperire “operatori pastorali” anche perché questi non hanno energie e tempo da dedicare alla parrocchia dopo aver svolto il loro “ministero laicale”, la cui “indole propria e peculiare è quella secolare” (cf. LG 31), nella famiglia, nel lavoro, ecc.

    L’accelerazione, dunque, dei mutamenti che stanno interessando le forme classiche della fede cristiana in Italia negli ultimi settant’anni, ovvero le forme del “cattolicesimo popolare” costitutivamente legato al reticolo parrocchiale, (capillarità di presenza sul territorio; radicamento e solidità dei legami; primato della domenica, diffusione tra la gente, “per tutti” cf. P. Carrara), ci pongono l’interrogativo e la sfida: dove va la nostra Chiesa italiana e triveneta? Che cosa sta diventando? Verso dove lo Spirito la sospinge? Nessuno ha la “sfera magica”, né chi fa previsioni troppo ottimistiche che non tengono conto degli evidenti segni di cedimento-contrazione delle forme del nostro essere cristiani e Chiesa ben rilevati anche dalle scienze empiriche, né chi è catastrofista e parla con troppa facilità di «implosione pastorale» (cf. A. Toniolo). Si tende a tralasciare lo sguardo teologico che ci dice che non esiste un problema di disponibilità di futuro per la Chiesa la quale esiste ed esisterà perché animata dallo Spirito del Risorto e dal fatto (rilevabile anche empiricamente) che la fede non è sparita seppure sia senza un’appartenenza precisa, sia molto diversificata e si connoti come una ricerca di spiritualità che fatica a condensarsi in esperienze religiose precise, (cf. Garelli).    

    La questione è piuttosto di immaginare quale potrà essere la forma che la Chiesa assumerà nel futuro, prestando molta attenzione al nuovo che nasce nel presente di quello che chiamiamo tempo di transizione (“germogli di futuro”).

2.     Opportunità per una “Trasformazione missionaria” 

    Il Papa e il suo magistero, fin dall’inizio con Evangelii Gaudium, ha messo in guardia dalla tentazione dell’«accidia pastorale» (EG 82) che ci fa deprimere e rinchiudere, continuando a difendere l’esistente (“si è fatto sempre così”) e preoccupandoci troppo di sostenere la struttura organizzativa delle nostre comunità a scapito di altre azioni pastorali capaci di generare e rigenerare la fede e il tessuto relazionale. Anche le Collaborazioni o Unità pastorali, nate per “aggiornare” e rilanciare la figura territoriale di una Chiesa che vuole ravvivare la sua testimonianza, rischiano di ridursi a gestire la crisi organizzativa perdendo, così, di significatività e divenendo funzionali e a trazione clericale (e forse per questo percepite come ulteriori pesi da portare). Sempre il Papa ha indicato che possiamo invece leggere e abitare i processi in atto come la sfida e l’occasione propizia per operare una “trasformazione missionaria” della Chiesa allargando così l’orizzonte e chiedendoci: Quale trasformazione è chiesta oggi alla Chiesa, alla sua testimonianza e alla sua azione pastorale, ai suoi ministeri e servizi  per essere più missionaria? Come rendere cioè il Vangelo di Dio ricevibile dall’uomo di oggi? In che senso lo Spirito invita la Chiesa a trasformare la sua modalità tradizionale di credere e di vivere per favorire quell’incontro sempre in atto tra Dio e ogni uomo e donna del nostro tempo?

    Questo ha una ricaduta immediata sul nostro tema. Si tratta di non pensare e organizzare più le comunità in funzione del numero dei preti o laici disponibili, ma riconoscere e pensare ai ministeri e servizi necessari (compreso quello del prete) affinchè ogni comunità in un determinato territorio sia disposta alla sua missione (al Ministero della Chiesa, cf. A. Borras). Per noi, in Italia e nel Triveneto, si tratta di cercare, riconoscere e accompagnare l’esperienza e la testimonianza cristiana nei luoghi vecchi e nuovi in cui oggi essa prende forma (si incarna). Si tratta di scoprire e accompagnare i nuovi modi di generazione della fede cristiana dentro la vita delle persone (“universale concreto” cf. C. Giaccardi e M. Magatti), nella loro carne e nei loro legami «affinchè la fede di Cristo e la vita della Chiesa non siano elementi estranei alla società in cui vivono, ma comincino a penetrarla ed a trasformarla» (AG 21). In questo senso andava la seconda scelta del cammino sinodale a Treviso. Anche se declinata sul piano morale come coerenza tra fede e comportamenti, «incrementare “stili di vita” maggiormente evangelici» segnalava «la necessità di testimonianze autentiche e credibili di Vangelo nelle concrete situazioni di vita».

    Le sfide della Chiesa occidentale in effetti, dice A. Toniolo, non sono primariamente di ordine morale (il venir meno di comportamenti cristiani), ma culturali, perché riguardano la percezione del legame tra il mondo della fede e quello della vita, e pastorali, perché si riferiscono alla crisi di prassi o strutture pastorali in grado di favorire tale legame. In gioco c’è la possibilità stessa che la fede cristiana venga recepita come un dono e un “ingrediente” indispensabile per l’umanità del XXI secolo. In altre parole si tratta, qui da noi, di rispettare quella caratteristica tipicamente italiana del “cattolicesimo popolare”, non nel senso di riprodurne le forme del passato, ma riscoprirne gli ingredienti (cf. Bressan) che possono dare futuro a questa forma e alla sua capacità di rendere ragione della fede cristiana dentro la storia. Un cattolicesimo popolare che non sarà più “di tutti”, ma che resta comunque “per tutti” in quanto permette di recuperare l’indole generativa di ogni comunità (cf. «Chiesa in uscita»).

    Se questa è la declinazione italiana della missionarietà a questo punto possiamo chiederci come ripensare e accompagnare i processi di una rinnovata ministerialità.

3.     Ministerialità e testimonianza

      Secondo Theobald non c’è un annuncio del Vangelo senza Chiesa, ma la Chiesa è formata di «presenze» e di «traghettatori» (passeur) di Vangelo che, attraverso e nella loro “maniera (cristiana) di abitare il mondo” (cf. M. Merlau-Ponty) rinviano al Signore. Si tratta di una Chiesa di padri, di madri, di educatori, di operatori che «rendono possibile l’accesso alla fede in Lui, ruolo che diminuisce man mano per lasciare apparire in coloro che lo seguono, la medesima relazione che egli vive con il Padre suo». È  proprio così che l’annuncio diventa credibile e capace di manifestare Gesù all’umanità perché, attraverso di loro, Egli prende corpo in mezzo ad essa e così può risvegliare il Vangelo anche nella coscienza e nella vita dell’altro/a (si veda la sintesi degli ascolti sinodali di Treviso). Occorre dunque che le figure ministeriali antiche e nuove siano impegnate a costruire legami e pratiche di incarnazione, trasfigurazione, alleanza dentro la vita quotidiana, per vincere le logiche clericali di funzionalizzazione, chiaramente in agguato nei nostri mondi.

    Per questo va salvaguardato il “principio sacramentale”, il riconoscimento cioè dei legami indissolubili tra il visibile e l’invisibile, l’esteriore e l’interiore, l’istituzionale e lo spirituale della Chiesa (cf. LG 8). Tale principio obbliga a resistere alle logiche funzionali-clericali, efficientiste e commerciali (pochi preti, poche risorse, poca gente che pratica…quali operazioni e “ministeri” per evitare il “fallimento dell’impresa”, per rendere “servizi efficienti”) e insegna a tutti i membri della Chiesa a riconoscersi gli uni gli altri, non come impiegati di un’amministrazione, ma come partecipi di uno stesso corpo vivente, non come “professionisti”, ma come “testimoni” del Risorto. Sembra a volte in atto una metamorfosi del corpo ecclesiale che possiamo sintetizzare così: «da madre amorevole a organizzazione professionale» (L. Bressan). Se alla figura del “testimone” si sostituisce quella del “professionista”, (magari retribuito come già avviene nel Nord Europa), la conseguenza logica sarà quella di un progressivo spegnimento delle operazioni simbolico-trascendenti di trasfigurazione accese dentro i legami antropologici fondamentali che diverranno semplici azioni professionali tese a raggiungere un obiettivo specifico ed elitario, anziché il gratuito bene di tutti (cf. “cattolicesimo popolare”). Con questo è anche vero che ogni ministero, proprio perché non funzionale e a tempo, esige un investimento di vita del ministro che deve essere reso possibile da condizioni realistiche di esercizio (come già avviene per il ministero ordinato).

    La logica testimoniale con il suo orientamento simbolico mi pare che abbia favorito anche la recente istituzione del ministero del catechista (cf. Antiquum ministeriun 2021). E’ una logica che attraversa i documenti ecclesiali sui ministeri dal Concilio in poi, da Ministeria quaedam (PaoloVI, 1972) ad oggi. «Non si tratta di moltiplicare le funzioni, ma di rigenerare la vita del corpo, mantenendo una necessaria tensione tra funzioni e vita: la vita è alimentata dalle funzioni, ma la loro configurazione istituita non esaurisce la vita stessa del corpo» (P. Carrara). Per questo non tutti i catechisti saranno istituiti ministri, ma solo alcuni e non con l’obiettivo di acquisire un potere e un onore che soppiantino gli altri (né spartizione, né supplenza), ma affinchè con la loro presenza testimoniale e di cura accrescano anche la significatività del ministero già di fatto esercitato da molti altri (cf. AM n.7).

4.     Ministerialità e vocazione

    Il tema della testimonianza richiama quello della vocazione sul quale è sceso, negli ultimi dieci-quindici anni, un silenzio quasi imbarazzante quando invece la crisi dei “ministeri” e “servizi” è evidentemente anche una crisi vocazionale. Come nasce un ministero/servizio?

    Forse ha ragione Zanchi quando afferma che «a volte le retoriche della vocazione hanno tolto il respiro alle dinamiche della chiamata». Alla fine, proprio per non pensare in astratto, dobbiamo ricordare che Soggetto della chiamata è la Chiesa animata dallo Spirito (e nella Chiesa i vari soggetti) che obbedisce ai segni e ai bisogni che la storia assegna al lavoro di testimonianza missionaria chiesto dal vangelo. Certamente la chiamata, nelle sue forme sempre particolari e personali, non esiste senza una «co-spirazione» (dello Spirito Santo) che abita nello stesso tempo nel cuore di ogni fedele, nella storia e nella Chiesa tutta intera (cf. LG 4). Nel post-concilio sono sorti spontaneamente, con semplici richieste dei parroci e attraverso figure di identificazione (“traghettatori”), molti compiti, ruoli, servizi «che solo una certa prudenza tecnica può non chiamare in qualche maniera ministeri. […]. Semplicemente dalla voce di certi bisogni che reclamavano il loro carisma corrispondente uomini e donne si sono messi a disposizione delle comunità perché nuove situazioni hanno richiesto l’attivazione di un relativo servizio. Ma non come pura risposta funzionale. Piuttosto come suscitazione (e riconoscimento) di un carisma» (cf. G. Zanchi). Questo ha significato l’ingresso di credenti “non ordinati” nei processi di una concreta e ordinaria vita ecclesiale. Una vita e un servizio che, oltre ad offrire un volto nuovo alle parrocchie, hanno contribuito a plasmare la fede personale e la testimonianza nei contesti della vita quotidiana.

    Il riconoscimento dei carismi e dei servizi corrispondenti, lo sappiamo, avviene oggi spesso in modo frettoloso e senza un vero e proprio “discernimento comunitario”. Tuttavia va recuperata la dinamica vocazionale propria della fede in una cultura in cui funziona un’antropologia del “progetto di vita” (cf. S. Currò) che io mi costruisco e che finisce per rafforzare la solitudine e per consacrare un io chiuso in sé stesso. L’antropologia della vocazione, invece, fa scoprire che l’io, in realtà, è già frutto di accoglienza, di dono; è grazie ad altri, viene da altro, si riceve da altro è in debito, si ritrova rispondendo, perdendosi, per dono non per conquista. All’interno della ricerca dell’uomo e della sua felicità va mostrato il senso del lasciarsi raggiungere, dell’essere amati e chiamati a rispondere, della “vocazione” che precede il “progetto”, dell’esclamazione ”Eccomi!” che viene prima di dire “io”. È la riscoperta, a partire dalle nostre comunità, di ciò che Theobald chiama «vocazione umana» («Tu puoi...essere unico…e mettere in gioco la tua unica esistenza per l’altro in tutte le tue scelte») sulla quale si innesta ogni «vocazione cristiana» che altro non è se non il modo di vivere “Filiale” del nostro essere uomini e donne. Nella misura in cui è la relazione agli altri che ci costituisce ed è grazie ad una comunità vivente che veniamo iniziati alla fede e all’ascolto della parola di Dio, la situazione di questa comunità e la sua “cultura vocazionale” sono assolutamente decisive per consentirci di accedere alla nostra identità credente che colloca ciascuno con un dono particolare a servizio dell’edificazione della Chiesa e della sua missione. C’è forse bisogno, in questo senso di un “ministero” particolare che potremmo chiamare “Animatore vocazionale” (diverso da quello che abbiamo inteso fino ad ora, legato al Seminario).

5.     Ministerialità e discernimento

    Nei testi biblici più importanti sui ministeri e carismi (1Cor12-14; Ef 4; Rm 12) si può distinguere, spiega Theobald, tra un «principio di fissazione istituzionale» (disposizione divina) e un «principio di apertura» o anche di «proliferazione» (cf. Lc 10 e At 6), tra doni legati alla realtà essenziale e costitutiva della Chiesa, e doni legati ai diversi momenti storici verso una molteplicità aperta, sempre tributaria di ciò che lo Spirito dona effettivamente nella storia degli individui e delle comunità (cf. LG 4 doni gerarchici e carismatici). L’unico scopo di questi doni, seppure diversi, è lo stesso: l’edificazione del corpo infinitamente mobile di Cristo tramite i cristiani a servizio della sua presenza e missione sempre più affinata in seno ad una società. Lo scopo non è dunque quello di rendere la comunità cristiana un’“organizzazione amministrativa” efficiente sul territorio, ma renderla capace della massima apertura e accompagnamento degli eventi spirituali che si producono in quello spazio. Il cattolicesimo che sta nascendo nelle trame del tessuto sociale e culturale in piena trasformazione sarà frutto non soltanto del nostro impegno e delle nostre azioni, ma anche della nostra capacità di contemplazione e di comunione, chiamando ad unità i tanti doni disseminati ovunque e che altrimenti rischiano la dispersione. Ciò potrà avvenire dentro un clima di ascolto e valutazione comune (sinodale) che chiede anche una competenza nel discernimento come il Cammino sinodale aveva tentato di offrirci. Sarà importante che all’interno di ogni comunità sorga progressivamente un “sentire” missionario comune e una visione condivisa. Essa può essere favorita solo da un ascolto serio di tutti, un ascolto “stereofonico” della voce di Dio: ascolto di Dio nelle voci umane e nei “segni dei tempi” cf. GS 4 e 11); ascolto di Dio che parla attraverso la Bibbia; ascolto della voce dello Spirito nella nostra coscienza (interiorità-preghiera-chiamata).

6.     Possibili aree di ministerialità oggi (suggerimenti anche a partire dalla sintesi degli ascolti sinodali)

    Per disporre la comunità alla missione possiamo immaginare l’insostituibile ministero della Presidenza (che forse non necessariamente dovrà continuare a coincidere con il “governo”…) affidato al prete (condivisa con un presbiterio in comunione col Vescovo) come colui che esercita la sua autorità in termini relazionali per consentire a ciascuno di divenire libero e maturo nella fede e nella sua vocazione/ministero rendendo possibile la concertazione e la sinodalità fra tutti, sapendo far valere la voce evangelica quando essa non è intesa dal tale gruppo o dalla tale comunità, accettando però di udirla a sua volta dalla bocca di questa o quella persona (non “preti-cardine”, ma “preti-traghettatori” cf. Theobald). “Chi nella Chiesa ha il compito di presiedere non deve “estinguere lo Spirito, ma esaminare tutto per ritenere ciò che è buono (1Ts 5,12.19-21)” (cf. LG 12). Il ministero della Presidenza, così immaginato, se è proprio del prete non vuol dire che non venga esercitato di fatto, in una certa misura, nella corresponsabilità e cooperazione soprattutto di alcune figure, maschili e femminili, già o “quasi ministeriali” (Diaconi permanenti, Azione cattolica, cf. AA 20; Cooperatrici pastorali diocesane…) che a volte hanno anche il “carisma” di aiutare gli altri a lavorare insieme.  

    Oltre ai CPP e CPAE, si affaccia oggi la possibilità di diverse forme ministeriali di “governo”: ci sono le “équipe di animazione pastorale” (partecipano all’esercizio della cura pastorale del parroco), animatori di comunità, referenti pastorali, responsabili di Oratorio, coordinatore dei catechisti ecc. non finalizzate tanto all’organizzazione quanto piuttosto a servizio della coesione di una comunità che, attraverso i legami, attività e impegni dei “fedeli”, “abita cristianamente un luogo”, per “farvi emergere” la Chiesa (dalla logica della «circoscrizione» a quella dell’«inscrizione» del fatto cristiano in un territorio da parte delle persone e delle loro relazioni, cf. Borras).  

    In seguito all’istituzione del Lettorato (ma anche del ministero dei catechisti) anche per laici non solo maschi (cf. Spiritus Domini, 2021) perché non promuovere una ministerialità della Parola, dell’accompagnamento spirituale, della guida dei gruppi biblici (es. “Vangelo nelle case”), ecc. Non dimentichiamo che l’ascolto della Parola di Dio nella celebrazione (e non) è ciò che rende possibile ogni discernimento in ordine all’agire pastorale e alla dimensioni di Presidenza e di governo. Inoltre la Sacra Scrittura può riunire simpatizzanti e non-cristiani senza far entrare subito in gioco il criterio distintivo della pratica religiosa, ma piuttosto rendendo possibile il riconoscimento e l’identificazione di chiunque con la pluralità delle figure bibliche, il cui compimento è Cristo (aprendo a ciascuno la possibilità di accedere a Lui trasformando la sua «fede elementare» in una «fede cristica», cf. Theobald).

    Sembra anche esserci spazio per una ministerialità dell’ospitalità a partire dalla valorizzazione del Diaconato permanente e del ministero dei coniugi cristiani, degli ambiti classici della carità e nella celebrazione eucaristica (vedi servizio dell’accoglienza in chiesa in tempo di Pandemia), finalizzati però ad un’apertura della comunità e della sua capacità di accoglienza e, ancor più, del suo interesse per l’ambiente e il territorio in cui è inserita. Missione è accorgersi di chi vive accanto a noi (compassione, prossimità, coinvolgimento) e cercare l’altro non solo e principalmente per dargli qualcosa, ma perché ne abbiamo bisogno e lo mettiamo nella condizione di poterci ospitare a sua volta. Ospitalità è anche interesse gratuito per la “fede” dell’altro che può aprire uno spazio in cui l’altro può scoprire Cristo («dovunque Dio apre la porta della parola» AG 13). Theobald suggerisce due ministeri nuovi, in grado di tradurre concretamente l’apertura ospitale e la conversione missionaria della Chiesa: quello del «rabdomante-cercatore» e quello del «visitatore» (per certi versi si riconoscono in queste figure dei tratti di alcuni dei nostri ministri starordinari della comunione che credo potrebbero ormai essere anche resi Accoliti).   

    Il primo è colui che dialoga, ottenendo spontaneamente fiducia, con quanti sono sulla soglia o all’esterno, ma hanno una domanda spirituale, sono cercatori di senso nelle situazioni umane (ad es. nascita e morte) che favoriscono un’apertura al Vangelo di Dio. Il secondo è colui che esce dai recinti ecclesiali e incontra l’umanità nei luoghi di vita, visita le nuove famiglie (prima scelta del nostro Cammino sinodale: «Curare l’inserimento e l’accoglienza delle nuove coppie e famiglie»), dialoga con le istituzioni pubbliche, scuole, ospedali, case di riposo, ecc. Papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti ricorda che «In alcuni quartieri popolari si vive ancora lo spirito del “vicinato”, dove ognuno sente spontaneamente il dovere di accompagnare e aiutare il vicino» (FT 152). È anche un modo per pensare l’inversione dal movimento centripeto («Venite da noi») a quello centrifugo (cf. EG 20-24) di «Una Chiesa in uscita» («Noi veniamo da voi»). Si possono immaginare delle visite, bussando alla porta dei nuovi arrivati facendosi aiutare dai cristiani già residenti in un quartiere e in quel quartiere partecipare a momenti associativi o di festa già organizzati.

    Infine sta riemergendo il campo ministeriale della formazione-educazione in particolare delle nuove generazioni di ragazzi e giovani che non può fare a meno innanzitutto della famiglia. Oltre alle molte figure già presenti nelle nostre comunità, in primis i catechisti,  le religiose, ricordo che l’Azione cattolica è posta dal Concilio (cf. AG 15) tra i ministeri nella Chiesa e una delle sue specificità è proprio la formazione (dai ragazzi agli adulti, negli “ambienti di vita” tra cui la politica). Ma vi sono anche figure che potrebbero diventare ministeriali come gli insegnanti di religione oltre che per l’incontro con molti ragazzi nelle scuole anche perché il loro ministero avrebbe già un cammino formativo qualificato (I.S.S.R.) e una remunerazione che non è a carico della comunità ecclesiale.

    Un’adeguata formazione in generale dovrà sempre tenere conto di almeno due livelli diversi: formazione di base e popolare (in Vicariato, Collaborazione pastorale, Azione cattolica, ecc.) per tutti i cristiani supportata dagli uffici diocesani e dalla S.F.T. e una formazione specifica per coloro a cui si riconosce un mandato o un vero e proprio ministero ecclesiale (Scuole teologiche di vario livello).

 

Bibliografia utilizzata (in ordine decrescente di data)
A.Toniolo – A. Stecanella (edd.), Le parrocchie del futuro, Nuove presenze di Chiesa, (gdt 445), Queriniana, Brescia 2022.
D. Hervieu-Léger – J.-L. Schlegel, Vers l'implosion? Entretiens sur le présent et l'avenir du catholicisme, Seuil, Paris 2022.
P. Carrara (ed.), La missione ecclesiale nello spazio Urbano. Percorsi storici, questioni teoriche, ricerche pastorali, Glossa, Milano 2022.
P. Carrara, Provocazioni ministeriali, Né spartizioni né supplenza, in Teologia (2/2021), 147-156.
L. Bressan, La fatica di discernere oggi nella pastorale, in La Rivista del Clero Italiano (1/2021), 7-22.
F. Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, il Mulino, Bologna 2020.
A. Toniolo, Cristianesimo e mondialità. Verso nuove inculturazioni, Cittadella, Assisi 2020.
L. Bressan, Una Chiesa alla ricerca del suo futuro, parrocchia e cattolicesimo popolare nell’Italia che cambia, in La Rivista del Clero Italiano (3/2019), 166-182.
C. Theobald, Urgenze pastorali. Per una pedagogia della riforma, EDB, Bologna 2019.
C. Giaccardi – M. Magatti, La scommessa cattolica, C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del Cristianesimo?, il Mulino, Bologna 2019.
A. Borras, Quando manca il prete, Aspetti teologici, canonici e pastorali, EDB 2018.
L. Diotallevi, Fine corsa. La crisi del Cristianesimo come religione confessionale, EDB, Bologna 2017.
P. Carrara, Forma ecclesiae. Per un cattolicesimo di popolo oggi: “per tutti anche se non “di tutti”, Glossa, Milano 2017.
G. Zanchi, L’arte di accendere la luce. Ripensare la Chiesa pensando al mondo, Vita e Pensiero, Milano 2015.
C. Theobald, Vocazione?!, EDB, Bologna 2011.
S. Currò, Il senso umano del credere. Pastorale dei giovani e sfida antropologica, ELLEDICI, Torino 2011.
L. Tonello, Il «gruppo ministeriale» parrocchiale, EMP-FTT, Padova, 2008.

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